Il Governo Draghi, dopo aver previsto l’introduzione della c.d. certificazione verde per l’accesso ai ristoranti e luoghi pubblici, col D.L. n. 126 del 16 settembre 2021 ha disciplinato l’impiego del (c.d. “green pass”) anche in ambito lavorativo pubblico e privato. In particolare viene previsto che “Dal 15 ottobre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, a chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato è fatto obbligo, ai fini dell’accesso nei luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire su richiesta la certificazione verde COVID-19”. Pertanto, con decorrenza dal 15 ottobre, anche chi presta la propria attività nel settore privato per poter accedere al luogo di lavoro deve possedere il c.d. green pass, con l’unica eccezione dei soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute. Detti controlli riguardano tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, svolgono la propria attività lavorativa o di formazione sui luoghi di lavoro, anche se sulla base di contratti esterni. Viene stabilito espressamente che i datori di lavoro sono tenuti a verificare il rispetto delle prescrizioni e che, per i soggetti che svolgono la propria attività sulla base di contratti esterni, detti controlli sono effettuati sia dai rispettivi datori di lavoro che dai datori di lavoro del luogo ove si svolge la prestazione lavorativa. Con il presente articolo, che non ha certamente pretese di esaustività considerata la scarna normativa e l’assoluta mancanza all’attualità di linee guida, si cerca di analizzare le novità introdotte col discusso decreto legge.

I controlli

Il controllo avviene tramite verifica del QR del certificato con l’apposita App VerificaC19 o, ipotesi vagliata nelle ultime ore, mediante l’utilizzo di una nuova applicazione sviluppata da Sogei che possa facilitare l’esecuzione delle operazioni di controllo. E’ stato altresì precisato che è possibile controllare i documenti di riconoscimento ma soltanto al fine di verificare l’identificazione del soggetto (e non la veridicità della certificazione). Nel caso di soggetto esente dall’obbligo di Green Pass, l’operazione di verifica innanzi descritta sarà svolta sulla certificazione di esenzione alla vaccinazione anti-SARS-CoV-2, così come stabilito dalle Autorità competenti. La verifica va fatta tutti i giorni, preferibilmente al momento dell’accesso al luogo di lavoro e può essere svolta, nei confronti dei propri dipendenti, collaboratori, stagisti e volontari, anche con modalità a campione (al momento per la P.A. la percentuale minima individuata come congrua è del 20% dei dipendenti ed in attesa dell’emanazione delle linee guida per le aziende private può ritenersi di applicare analogicamente detto parametro) mentre per gli esterni che accedono ai locali aziendali è consigliata la verifica del singolo soggetto. Nelle ultime ore, inoltre, come indicato nelle linee guida relative al settore pubblico, è stata prevista la possibilità di acquisire anticipatamente, con un limite temporale di 48 ore, le informazioni in merito al possesso della certificazione verde al fine di consentire l’organizzazione del lavoro. In ogni caso si evidenzia che i controlli vanno effettuati secondo procedure formalizzate e debitamente comunicate (anche tramite affissione in bacheca di detta procedura). Entro il 15 ottobre è altresì necessario individuare, con atto formale, i soggetti incaricati allo svolgimento delle verifiche e della documentazione di eventuali violazioni anche al fine di adottare i provvedimenti conseguenziali, che di seguito si avrà modo di meglio illustrare. Si specifica, inoltre, che l’attività di verifica delle certificazioni non comporta in alcun caso la raccolta dei dati dell’intestatario in qualunque forma e vi è il divieto di richiedere copia della certificazione. Per quanto riguarda la procedimentalizzazione delle modalità di verifica del green pass occorre predisporre un documento che andrà valutato di concerto con il responsabile della sicurezza sui luoghi di lavoro, affisso in bacheca, nonché allegato al protocollo COVID19 ed al DUVRI già predisposti.

Le conseguenze previste per i lavoratori non muniti di green pass

Nel caso in cui i lavoratori comunichino di non essere in possesso della certificazione verde Covid-19 ovvero nel caso in cui risultino privi di tale certificazione al momento dei controlli, sono sospesi dalla prestazione lavorativa e per tale periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato. La sospensione viene comunicata immediatamente al lavoratore interessato ed è efficace fino alla presentazione del Green pass e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021 (termine della cessazione dello stato di emergenza). Si specifica che la sospensione è senza conseguenze disciplinari e comporta il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro (non è possibile infliggere sanzioni disciplinari né operare licenziamento). Sul punto, risulta opportuno nella predisposizione del documento relativo alla procedimentalizzazione dei controlli anche prevedere le modalità con cui deve avvenire la comunicazione ai soggetti deputati per la gestione di detta ipotesi (a titolo meramente esemplificativo: il consulente del lavoro, gli incaricati dell’ufficio personale, etc.).

Le sanzioni previste

La sospensione dal lavoro senza retribuzione, tuttavia, non è la sola conseguenza cui rischia di andare incontro i lavoratore munito di green pass: per coloro i quali che siano entrati in ufficio, azienda o altra sede violando l’obbligo di possesso o esibizione green pass è prevista la sanzione pecuniaria da un minimo di 600,00 euro a 1.500,00 euro. Le multe sono salate anche per il datore di lavoro che non effettua i controlli: la sanzione va da un minimo di 400 ad un massimo 1.000 euro per ciascun lavoratore.

Le conseguenze in tema di privacy

Le ripercussioni del green pass non riguardano, tuttavia, solo aspetti lavorativi e sociali ma hanno rilevanti conseguenze anche in tema di privacy. E’ bene tenere conto che le verifiche relative al possesso di green pass non possono in alcun modo comportare la raccolta di dati personali bensì soltanto la presa di conoscenza di dati personali. Presa di conoscenza che avviene sia al momento della verifica della validità del green pass, sia in caso di eventuale contestazione del mancato possesso del green pass a chi ne sia sprovvisto. In attesa di un chiarimento definivo da parte di Governo, si segnala che il Garante della Privacy col parere diffuso il 12 ottobre 2021 ha segnalato come “l’attività di verifica non dovrà comportare la raccolta di dati dell’interessato in qualunque forma, ad eccezione di quelli strettamente necessari, in ambito lavorativo, all’applicazione delle misure derivanti dal mancato possesso della certificazione. Il sistema utilizzato per la verifica del Green Pass non dovrà conservare il QR code delle certificazioni verdi sottoposte a verifica, né estrarre, consultare, registrare o comunque trattare per altre finalità le informazioni rilevate”. La massima autorità in tema di protezione dei dati ha altresì specificato, come già ipotizzato da molte associazioni di categoria, la necessità che tutti i dipendenti siano debitamente informati dal proprio datore di lavoro sul trattamento dei dati attraverso una specifica informativa prima che venga iniziata qualsiasi procedura di controllo. Pertanto è lecito ritenere che, anche in assenza di una precisa previsione normativa in tal senso, sia necessario adottare un’informativa, cui dare ampia diffusione, relativa al trattamento dei dati personali da fornire ai lavoratori che indichi:

  • le modalità attraverso le quali si prende visione della validità del green pass;
  • la base giuridica che autorizza questa operazione (ovvero la conformità all’obbligo stabilito per legge dal Decreto 127/21);
  • il nome del soggetto incaricato del controllo, che coincide con colui che esegue materialmente la verifica del possesso di un green pass valido.

Appare opportuno specificare nell’informativa che i dati relativi alla verifica del green pass non vengono in alcun modo raccolti e conservati, se non limitatamente alle informazioni necessarie per un’eventuale sospensione in caso di mancato possesso del green pass. E’ bene precisare che non occorre, invece, far firmare alcun consenso in sede di verifica del green pass in quanto la verifica avviene per obbligo di legge. Inoltre è d’uopo evidenziare che non è possibile creare un registro di chi possiede il green pass tra i dipendenti e collaboratori con relativa data di scadenza. È altrettanto illecito chiedere a dipendenti o collaboratori informazioni sul loro stato vaccinale o, in generale, sulla loro salute. Ai sensi degli obblighi previsti dal GDPR in materia di adempimenti privacy e tenuto conto delle delucidazioni fornite dal Garante della Privacy in merito all’informativa da fornire ai lavoratori, è corretto ritenere sia necessario predisporre uno specifico documento contenente finalità, basi giuridiche ed informazioni necessarie alla compliance privacy necessaria da integrare al registro dei trattamenti privacy.

I nodi ancora da sciogliere

In attesa delle auspicate linee guida anche per i lavoratori del settore privato ed a poche ore dall’entrata in vigore dei nuovi obblighi, non mancano tuttavia i nodi da sciogliere. In particolare uno dei punti che desta maggiore perplessità e su cui si registrano pareri ed opinioni divergenti riguarda la comunicazione al prefetto delle violazioni dei lavoratori da parte del datore di lavoro. Si segnala come per esempio Confindustria, che certamente può rappresentare una bussola per gli imprenditori al fine di destreggiarsi con gli incombenti adempimenti, abbia diffuso due note sul punto, dapprima il 27 settembre e successivamente il 7 ottobre, con riferimento all’ipotesi in cui il lavoratore sprovvisto di certificazione verde risulti presente sul luogo di lavoro, con le quali si precisa che “il fatto che il datore di lavoro sia chiamato, a pena di sanzione amministrativa, a stabilire le modalità del controllo rende necessario organizzare il controllo prevedendone formalmente le procedure e la documentazione per giustificare adeguatamente la comunicazione della violazione al Prefetto” (si legge a pag. 12 della nota diffusa lo scorso 27 settembre da Confindustria). Tuttavia l’interpretazione secondo cui il datore di lavoro sarebbe tenuto a segnalare suddetta violazione al Prefetto competente per territorio desta non poche perplessità. Difatti non mancano le interpretazioni di segno opposto secondo le quali non è possibile, in assenza di una chiara previsione, ravvedere un simile obbligo che, invero, parrebbe porsi in forte contrasto con il quadro normativo vigente secondo cui per l’irrogazione della sanzione amministrativa il Prefetto si avvale unicamente delle Forze di Polizia o del personale ispettivo dell’ASL o dell’Ispettorato del lavoro. Il dibattito è acceso e non resta che augurarsi che quanto prima intervenga un provvedimento governativo che possa rispondere ai tanti quesiti rimasti privi di riscontro in merito all’obbligo del green pass anche per l’accesso ai luoghi di lavoro.